<<Nessuna lingua viva ha, né può avere, un vocabolario che la contenga tutta>> scriveva Leopardi nello Zibaldone. Le lingue sono in evoluzione continua, il lessico si aggiorna e si evolve insieme alle persone e muta insieme alle società.
In occasione della Giornata internazionale della lingua madre, che si celebra il 21 febbraio, abbiamo deciso di intraprendere un viaggio negli orti d’Italia e abbiamo scoperto che, oltre a ottime verdure, offrono una grande varietà lessicale, di cui vi riportiamo alcuni esempi.
Carciofo (dall’arabo “kharshūf”). Da Nord a Sud, i dialetti italiani usano nomi molti diversi per indicare questo ortaggio: ardiciocca in Liguria, caccioffulu in Calabria, cacòcciula in Sicilia, articioco in Friuli-Venezia Giulia.
Patata (dallo spagnolo “patata”, incrocio tra “papa” in lingua quechua e “batata” in haitiano). Accanto ad alcune versioni dialettali più vicine all’italiano, come l’abruzzese patène o patàn, la campana e pugliese patana, esistono varianti dialettali davvero originali: tartìful in Lombardia e in Piemente, pomm-da-tèra in Emilia-Romagna (simile al francese “pomme de terre”).
Cipolla (dal latino “cepulla”). Le regioni italiane offrono tantissimi modi per dire “cipolla”. Achepudda e ziodda in Sardegna, c’podd in Puglia, çiòula e çevula in Liguria, egnon in Valle d’Aosta (simile al francese oignon), scìgola in Lombardia.
Pomodoro (dal latino “pomum aureum”, diventato poi “pomo d’amour” e “pom d’or” nel XV secolo per le sue presunte proprietà afrodisiache). Oltre a essere un ortaggio particolarmente amato, il pomodoro ha tanti modi per essere chiamato da Nord a Sud Italia, qualche esempio? Pammador in Abruzzo, pimmadoru in Calabria, pomata in Sardegna, prommarola e pummarola in Campania, pummitoru in Puglia.