Coltivata nella regione delle Ande fin dai tempi delle civiltà precolombiane, la patata fu scoperta dagli europei grazie ai viaggi dei conquistatori spagnoli guidati da Pizarro e introdotta in Europa tra il 1580 e il 1585.
In Italia arrivò tra la fine del XVI secolo e l’inizio del XVII da Spagna e Portogallo, per mezzo dei padri Carmelitani scalzi. Dopo una iniziale fama negativa - dovuta al fatto che molti mangiavano erroneamente le foglie e i frutti anziché i tuberi, con conseguenze spiacevoli per la salute, la patata iniziò a essere apprezzata e consumata in alcuni Paesi europei anche in risposta alle carestie che afflissero alcuni di essi nel XVII e XVIII secolo. Nella sua diffusione giocò un ruolo chiave l’agronomo Parmentier, farmacista dell’esercito francese durante la guerra dei Sette Anni contro l’Inghilterra e la Prussia, che dopo averne apprezzato le virtù durante la prigionia in Germania, ne promosse la conoscenza in Francia presentandola a un premio indetto dall’Accademia di Besançon dedicato ai cibi adatti a fronteggiare povertà e carestie. L’alimento suscitò un così ampio interesse per la sua capacità di crescere anche in terreni poveri e per il suo essere pronto all’utilizzo senza necessitare - a differenza del pane - né di un mugnaio né di un fornaio, da far trionfare l’agronomo alla competizione. Parmentier portò avanti la propria opera anche cercando l’appoggio di re Luigi XVI che, dopo la carestia del 1785, adottò alcune misure pensate proprio per diffonderne la coltivazione tra i contadini. In Italia la coltivazione della patata in misura significativa iniziò a cavallo tra il Settecento e l’Ottocento, ma essa divenne parte integrante della produzione agricola e dell’alimentazione degli italiani solo a partire dalla seconda metà dell’Ottocento.